IL SOLE NASCE ANCORA

Libro autobiografico

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Questo libro è sì la testimonianza della precarietà del tutto, della imperscrutabilità del Fato a cui si devono sottomettere anche gli dei (e tanto più noi comuni mortali) e davanti al quale si ferma l’onnipotenza delle nostre illusioni, ma è anche la dimostrazione delle infinite risorse e potenzialità dell’uomo.

L’ho scritto nel 2001 per elaborare il lutto della grave disabilità (tetraplegia) causata dall’incidente che ho avuto l’11 maggio 1992 con la bicicletta da corsa.

I critici hanno riconosciuto che nel libro oltre a queste forze, sono presenti una grande dignità e un decoroso stile di vita che ho mantenuto anche in condizioni che si possono considerare ai “margini della vita”.

La strada è stata lunga e dura, ma il coraggio e la forza di volontà mi hanno permesso di arrivare ad un sufficiente “accomodamento” con la nuova realtà e ad una discreta riduzione del divario che c’è tra i “normali” e i “disabili”.

Invito i “normali” a meditare sulla precarietà dell’esistenza e sulla volubilità della fortuna.

Con questo scritto ho voluto sensibilizzare l’opinione pubblica sulla imperfezione e non attuazione di alcune leggi, sulla assurdità delle barriere architettoniche e sulla mancanza di strutture adeguate.

L’opera è anche un  invito a vivere in armoniosa convivenza con chi è in difficoltà e a creare condizioni di fruibilità del progresso per tutti.

Con l’aiuto della tecnologia, con la condivisione delle conoscenze, con la disponibilità all’aiuto, può nascere e svilupparsi un grande sogno collettivo in cui ognuno potrà ricevere in rapporto ai propri bisogni e dare in base alle proprie possibilità.

Questo è il messaggio e il senso dell’opera che cerco di portare avanti per me e per gli altri.

La sofferenza –  (un capitolo del libro).

Esiste un dolore fisico che mette a dura prova il corpo, un dolore psicologico che occupa tutta la mente, un dolore sociale che fa perdere alla persona il suo ruolo in famiglia e nella società, un dolore spirituale che fa perdere gli affetti verso le persone care, la stima di sé ed anche la fede (per chi ce l’ha).

Non so sicuramente quale sia il peggiore, ma credo che in genere chi cade in disgrazia, per malattia, incidente, depressione, ecc… di solito accusa tutti questi dolori contemporaneamente.

Io mi trovavo in questa situazione. Non sopportavo niente e nessuno. Tutti i discorsi di circostanza mi infastidivano.

Siccome le parole sono come pietre, penso, che quando uno si trova in questo stato, esse non servano e tanto meno i proclami o le citazioni evangeliche che molti si sentivano in dovere di riportarmi. Ma è sufficiente   recarsi da quella persona, tendergli la mano, e dire:

“Ho piacere di essere qui con te. Se tu vuoi, rimango in silenzio, in tua compagnia”.

Una presenza attenta e discreta è molto più utile di un approccio e di un atteggiamento contrito e pietistico.

Questo è stato l’atteggiamento sempre disponibile e generoso dell’amico Raffaele (detto Ketta) in tutti questi anni.

 

 

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