OCCHIO, MALOCCHIO…

Riti popolari mai fuori moda

Un fenomeno largamente diffuso e praticato ancora è la procedura di “intercessione” per togliere il malocchio.

“Ho un grande mal di testa”, “Mi sento stanca, come se avessi un grande peso sulle spalle”, “Mi brucia lo stomaco”, queste o altre affermazioni simili sullo stato di salute della vittima, oggetto del potere negativo del portatore di maleficio.

Nella tradizione popolare del sud, l’arte di “sdocchiare”, togliere il malocchio, si tramanda di madre in figlia da secoli. La notte del 24 dicembre, vigilia di Natale, si procede all’iniziazione dei nuovi adepti (la scelta, quasi sempre, ricade su una donna, più affidabile e capace di custodire il segreto della formula propiziatoria), che impara le parole “magiche” da recitare, con forte coinvolgimento emotivo, e con l’aiuto di alcuni elementi naturali (acqua, olio di oliva, sale) o di azioni del proprio corpo (starnuto, sbadiglio) compie l’opera di scacciare via il male che affligge la “docchiata” (la vittima è quasi sempre donna, più soggetto e oggetto di invidie e pettegolezzi).

E’ così che, attraverso l’intervento degli spiriti buoni, tutto il male che attanaglia la testa, che appesantisce la schiena o che infiamma l’addome si raccolgono nel piatto al contatto tra l’acqua di fondo e l’olio versato a stillicidio, lentamente. E per la più anziana ed esperta, uno starnuto o uno sbadiglio eliminano dal corpo il male incamerato durante la procedura per liberare la persona colpita dal maleficio…

Tante le regole da rispettare: non può essere una familiare ad agire, perchè il legame di sangue non permette di essere distaccate dall’evento; in alcuni giorni della settimana o durante alcune festività non è possibile agire; non si possono compiere troppe procedure nello stesso giorno, o sulla stessa persona, senza che sia trascorso un ragionevole periodo di tempo; il “male” raccolto va buttato lontano dall’abitazione in cui avviene il rito, per non lasciarlo all’interno.

Una procedura sistematica che racchiude origini pagane, volontà di propiziazione, ma nel contempo, una forte convinzione di fede, fatta di una coscienza dell’esistenza di bene e male, di persone fragili e di altre più forti e spesso cattive, capaci di arrecare, con un brutto pensiero o un occhio malevolo, sofferenza all’altro. Certo è che la Chiesa non può schierarsi a favore di un modus operandi tanto discutibile, ma coloro che prestano il loro aiuto sono pur sempre persone timorate e generose, disponibili a immolarsi per catturare l’altrui male, spesso a proprio discapito. Non è raro, infatti, che a lungo andare questa pratica porti a sua volta sofferenza a chi la compie, perchè difficilmente si rimane estranei al dolore di chi chiede aiuto, e spesso, a onor del vero, si tratta di una richiesta di aiuto vero.

Oggi esistono le terapie farmacologiche, i supporti psicologici, ma sull’argomento malocchio la tradizione ha sempre prestato attenzione. Ogni malessere è riconducibile all’odierno “stress”, ma chi lo definiva tale un secolo fa? Era più accettabile credere di essere invidiati o scherniti e dare la colpa ad altri del proprio insuccesso o delle difficoltà del quotidiano.

Il rito contro il malocchio incuriosisce i turisti che si recano nelle regioni meridionali e nei loro caratteristici paesini (in Calabria, Sicilia, Puglia, Basilicata, Sardegna, Campania): capita spesso che si soffermino non solo a visitare siti culturali o bellezze naturali, ma si lascino affascinare dai racconti di storie ricche di folklore e tradizione popolare. Come un romanzo scritto in vernacolo, i turisti si concedono un rito per alleggerirsi del male/stress e proseguire la vacanza più sereni e leggeri!

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