LA POTENZA DELLA SUGGESTIONE

Certe volte le parole possono avere l'effetto che, traslato, hanno i farmaci sul nostro cervello

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Secondo l’immaginario comune l’unico modo di curare una qualsiasi patologia passa univocamente per l’assunzione di farmaci.
Se un medico desse al proprio paziente acqua distillata al posto di un potente antidolorifico, penso che la maggior parte di chi mi legge sia convinto che il risultato sarebbe opposto a quello sperato.
Beh, pare che non sia proprio così.
Ma prima di indagare sulle motivazioni di questa risposta, cerchiamo di approfondire quali siano le definizioni e le differenze tra farmaco e placebo.
Definire cosa sia il farmaco è abbastanza semplice, più complessa, invece, la definizione di placebo.
Farmaco, infatti, è una determinata molecola che, legandosi a determinati recettori, è in grado di modulare determinati sistemi neuro chimici.
La definizione di placebo è estremamente più complessa poiché entrano in gioco molteplici fattori.
Se si dovesse definire il concetto di placebo la maggior parte se la caverebbe col dire che lo stesso coincide con la somministrazione ad un paziente di un farmaco finto.
Ma questa è una definizione solo parzialmente vera. Affinché il placebo funzioni, infatti, si ha bisogno di predisporre tutto un contesto intorno al paziente fatto di ambiente, odori, sensazioni, fattori uditivi e percettivi e soprattutto di determinate parole, che spingano il malato ad aspettarsi, a seguito dell’assunzione del presunto e creduto farmaco, di lì a breve, un miglioramento clinico.


Quello che pochi però sanno è lo spaventoso effetto terapeutico delle parole in ambito clinico.
Corrette suggestioni verbali pare siano in grado di modificare la chimica del cervello in maniera similare a quanto accade con l’assunzione di farmaci.
Si è visto, per esempio, che in pazienti affetti da sindrome di Parkinson, l’effetto placebo è in grado di andare a modulare i recettori della dopamina a livello celebrare in una misura e maniera molto simile a quella ottenuta con la somministrazione di un vero farmaco.
Per chiarire ancora il concetto si pensi che in uno studio, effettuato su un range abbastanza ampio di pazienti, reduci da operazioni chirurgiche e bisognosi di terapie mirate per il dolore, si è potuto osservare, grazie all’ausilio della risonanza magnetica funzionale, che il placebo è in grado di inibire determinate aree celebrali, deputate appunto alla percezione del dolore, in maniera molto simile a quanto sarebbe stato possibile con la somministrazione di un oppiaceo tipo la morfina.
Ma come mai questo è possibile?
Semplicemente: il nostro cervello è in grado di produrre due tipi di sostanze: oppioidi e cannabinoidi. Le prime sono simili agli oppiacei e le seconde alla cannabis.
Quando un paziente è convinto e suggestionato in modo tale da avere aspettative positive riguardo ad un ipotetico trattamento si ha l’attivazione,all’interno delle aree celebrali, la produzione di queste due tipologie di sostanze.
In pazienti con difficoltà motorie si è potuto osservare che suggestioni mirate e ben effettuate producono un rilascio di dopamina intra celebrale che può raggiungere una concentrazione anche molto elevata.
E allora un attento lettore si potrebbe chiedere: come mai, visto questi risultati miracolosi, ottenuti con il placebo, ci si ostina a curarsi con i farmaci?
Per due motivi in particolare: il primo risiede nel fatto che non tutti siamo suggestionabili alla stessa maniera e si è potuto vedere che vi è un range molto elevato di persone cui il placebo non sortisce effetto; il secondo è che l’effetto delle suggestioni produce risultati con “emivite” molto brevi.
Questo ultimo punto non trova ancora spiegazione ma interessante è capire come funziona il nostro cervello in relazione a stimoli esterni e quanto potere hanno le parole e l’ambiente che ci circonda sul nostro equilibrio psicofisico.

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